L’impiego dei robot sta prendendo piede con tassi di crescita importanti e nel quotidiano di ognuno di noi sono sempre più comuni le situazioni in cui è possibile (o addirittura richiesto) interfacciarsi con qualche forma di automazione di questo genere.
L’atteggiamento di chi si avvicina alla robotica è però spesso contrassegnato da due reazioni emotive che si possono manifestare anche simultaneamente, sebbene siano di segno opposto: da un lato c’è la curiosità di vedere una “macchina che sa fare cose da sola”, dall’altro coesiste una certa diffidenza.
A-Bit-C è nata e si impegna proprio per questo: mettere a disposizione dei bambini e dei ragazzi, e di conseguenza delle loro famiglie, gli strumenti per capire (e talvolta arrivare fino a riuscire a guidare) una trasformazione che è in atto anziché viverla da spettatori passivi.
Per fare questo ci siamo adoperati nella costruzione di alcuni percorsi di “alfabetizzazione robotica” che prevedono un avvicinamento all’automazione in senso lato, partendo dal codice per arrivare al meccanismo intelligente basandosi su un approccio logico computazionale; percorsi che trovano il loro quasi naturale ambito di applicazione nel contesto delle scuole, come conferma anche la positiva esperienza in corso di svolgimento in queste settimane con le ragazze e i ragazzi della scuola Fabio Filzi di Inzago.
Grazie alla disponibilità del Dirigente scolastico e degli insegnanti, coinvolgendo un gruppo di mamme e di papà volontari, la nostra Associazione sta proponendo per il secondo anno scolastico consecutivo dei corsi, pensati per le classi quarte e (da quest’anno) quinte della Scuola Primaria.
I corsi seguono uno sviluppo a complessità crescente: se durante la prima lezione si parte dalla presentazione e da un primo approccio con i componenti, spiegando cosa sono e a cosa servono i sensori, gli attuatori (ossia i motori) e il software dei Cubelet, i nostri robot didattici, dalla seconda sessione si introducono i concetti di azione e reazione.
Per le classi quinte il percorso è ancora più articolato perché, accedendo all’aula di informatica, i ragazzi cominciano a interfacciarsi anche con le regole della programmazione.
Utilizzando dapprima uno smartphone collegato via Bluetooth e in seguito il software Blockly, specifico per i Cubelet, diamo la possibilità di sperimentare in prima persona il fatto che i robot interagiscono con l’ambiente in cui si trovano e reagiscono a certe situazioni, come l’incontro con un ostacolo, in base al loro “carattere” (come viene definito per dare ai ragazzi un termine di confronto che sono in grado di comprendere).
Durante le lezioni, i ragazzi vengono suddivisi in gruppi; a ciascuno di questi gruppi viene assegnato un obiettivo, e chiediamo ai ragazzi di combinare i Cubelet – in base a quello che essi sono in grado di fare – per raggiungere il risultato richiesto.
All’interno di ciascun gruppo vengono assegnati dei ruoli: ad alcuni ragazzi spetta il compito di confrontarsi sulle idee e sul progetto della soluzione necessaria, ad altri viene affidata la fase di test mentre altri ancora sono chiamati a prendere appunti che, al termine dei diversi esperimenti, serviranno per fare una relazione al resto della classe.
Attraverso il ricorso al metodo logico di prova (una soluzione progettuale) – verifica (se funziona) – riprova (con un’altra soluzione), durante le lezioni del percorso proposto alle scuole di Inzago tutti i gruppi e tutti i ragazzi sono arrivati a ottenere il risultato desiderato.
Ma non solo: a tutti è stato richiesto di confrontarsi con alcuni semplici calcoli matematici, mentre i ragazzi delle quinte hanno dovuto anche confrontarsi con l’inglese che è la lingua su cui si basa il software di programmazione. In ognuno di questi ambiti, i ragazzi si sono sempre dimostrati a loro agio e i risultati ottenuti sono stati veramente lusinghieri.
A conferma del buon esito del percorso c’è anche la constatazione, riferita dagli insegnanti, di un coinvolgimento di tutti intorno al progetto: anche i ragazzi in genere più timidi, o quelli che di solito sono meno interessati, con i Cubelet hanno trovato l’occasione per esprimersi e incuriosirsi.
Da parte nostra, invece, abbiamo riscontrato che il percorso proposto è riuscito a superare i confini della scuola: tanti genitori, anche tra quelli delle classi non coinvolte, hanno infatti espresso il desiderio di imparare a usare i Cubelet, si sono impegnati a seguire brevi corsi serali, hanno portato a casa alcuni Cubelet per testarli e si sono anche resi disponibili in forma volontaria per dedicare alcune mattinate all’insegnamento, mettendosi in ferie dal lavoro.
Nel momento in cui scriviamo siamo a metà di questa esperienza, ma possiamo già dire che, una volta sperimentato l’approccio con i Cubelet, sia i ragazzi che i loro genitori si sono resi conto che le potenzialità di questi “robottini” in apparenza limitate sono sorprendenti, e il loro utilizzo alla portata di tutti perché non necessita di programmazione ma solo di un po’ di curiosità e desiderio di imparare.
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